La nuova geopolitica del digitale
La notte del 26 settembre 2022 le stazioni di monitoraggio sismico di Danimarca e Svezia registrano contemporaneamente delle misteriose esplosioni sottomarine nel Mar Baltico. La mattina seguente, a largo dell’isola danese di Bornholm, l’acqua comincia a ribollire.
In superficie affiora una perdita di gas proveniente dai gasdotti Nord Stream, infrastrutture strategiche in grado di trasportare miliardi di metri cubi di gas dalla Russia verso la Germania.
Nelle capitali europee scatta l’allarme: tempistica, dinamica dell’evento e portata delle perdite rendono improbabile l’ipotesi di un semplice incidente. I sospetti si concentrano subito su Mosca, accusata di un atto di ritorsione per l’appoggio europeo all’Ucraina. L’eventualità di un attacco alle infrastrutture critiche aprirebbe una nuova fase del conflitto.
Le marine militari dei Paesi limitrofi si mobilitano immediatamente: navi da guerra britanniche, danesi, svedesi e norvegesi si dirigono verso l’area per mettere al sicuro tutte le infrastrutture sottomarine.
La dimensione fisica del digitale
Al di là delle responsabilità, all’epoca molto difficili da attribuire (oggi invece il mistero pare risolto), in quei giorni di alta tensione emerge chiaramente che la preoccupazione principale degli alleati occidentali non sono solo i cavi che trasportano gas, ma anche quelli che fanno viaggiare una materia ancora più preziosa: i dati. In quel tratto del Mar Baltico passano una serie di importanti cavi sottomarini che fanno parte della vasta infrastruttura sulla quale poggia l’Internet di tutto il mondo.
Oltre un milione di chilometri di collegamenti in fibra ottica diventati ormai vitali per le economie dei Paesi, i servizi pubblici, le industrie automatizzate 4.0, gli scambi commerciali e le operazioni finanziarie. È stato stimato che nei cavi sottomarini ogni giorno si muovono transazioni per circa 10.000 miliardi di dollari. Il doppio del PIL del Giappone.
Cloud, Wireless, Wi-Fi. Quando pensiamo alla Rete ci immaginiamo un’entità eterea, onde che si trasmettono nello spazio, flussi di dati che viaggiano nei cieli. Non è così. Oltre il 95% delle comunicazioni online si muove attraverso un complesso sistema di cavi e di infrastrutture a essi collegate, come landing stations, data center terrestri e sottomarini, ripetitori.
La Rete è molto più materiale di quello che immaginiamo, traccia rotte in fibra ottica sotto i mari, attribuisce valore strategico ai luoghi dove i cavi emergono, occupa spazi fisici con i suoi hub, ridefinisce le priorità di sicurezza nazionale, disegna le mappe di una vera e propria geopolitica digitale in grado di influenzare le scelte economiche e di politica estera degli Stati.
Il rapporto sempre più stretto tra tecnologie e politica ha trasformato questo sistema globale di Internet in un nuovo scacchiere geopolitico nel quale ai tradizionali protagonisti — i governi — si sono affiancati nuovi attori capaci di condizionare le relazioni internazionali. Negli ultimi anni è stata demolita una delle caratteristiche distintive dello Stato moderno: il monopolio sulla sicurezza e sulla politica estera.
Oggi la gestione di questi ambiti va inevitabilmente condivisa con le grandi aziende tecnologiche che dominano la Rete.
Accanto alla rappresentazione idealizzata di Internet come uno spazio universale e senza confini, si è affermata quella più realistica di un terreno di conquista dove governi e multinazionali piantano bandierine tramite la realizzazione e il controllo delle infrastrutture critiche per la trasmissione dei dati e dove si combattono nuovi conflitti ibridi sotto forma di attacchi cyber e sabotaggi di cavi.
“Chi controlla i mari, controlla il mondo” è un vecchio adagio della geopolitica che possiamo oggi riconvertire in “chi controlla Internet, controlla il mondo”.
Una nuova competizione geopolitica dai contorni ancora in evoluzione, ma con una priorità molto chiara: primeggiare in un mondo dove la tecnologia determinerà sempre di più i rapporti di forza tra le nazioni.
La nuova geografia digitale modifica radicalmente quella tradizionale, mettendo in discussione i concetti cardine di centro e periferia. Oggi i gangli vitali dell’economia, della finanza e della politica mondiale risiedono in quei luoghi dove le connessioni sono più avanzate. Al contrario, diventano periferie quei territori che restano ai confini delle infrastrutture di Internet.
La scelta su dove far passare un nuovo cavo sottomarino in fibra ottica o l’identificazione di un luogo dove costruire un’importante data center sono decisioni strategiche che possono incidere sul futuro di intere aree del mondo. Popolazione, dimensione geografica, disponibilità di materie prime, potenza economica e apparati militari sono stati per secoli i fattori di forza principali delle potenze che si sono avvicendate nel panorama mondiale.
Oggi si aggiunge un altro elemento: lo sviluppo tecnologico e digitale, che in pochi anni si è guadagnato un ruolo di rilievo nel determinare la nuova gerarchia del potere grazie a numeri in continua crescita.
Secondo la Banca Mondiale l’economia digitale vale oltre il 15% dell’intero PIL globale e negli ultimi 15 anni è cresciuta a un tasso due e volte mezzo superiore a quello del PIL. Le persone connesse a Internet superano i 5 miliardi e in alcuni Paesi la penetrazione della Rete è ormai al 99%.
Comprendere le dinamiche del potere tecnologico diventa per i governi fondamentale per ridefinire il proprio posizionamento internazionale, interloquire con i nuovi attori dell’innovazione e prepararsi ai conflitti ibridi che vedranno sempre di più la Rete protagonista.
La nuova sovranità
Intelligenza artificiale, Internet of Things, supercomputer quantistici, 5G, realtà virtuale e Metaverso sono alcune declinazioni dell’attuale fase di accelerazione tecnologica che sta rivoluzionando le nostre economie, le nostre società e le nostre vite. Ma sono anche gli elementi di una nuova geopolitica digitale fino a oggi caratterizzata dal monopolio americano e che sta lasciando il posto a un bipolarismo Stati Uniti-Cina, destinato a dominare i prossimi decenni.
Porsi alla guida dei processi di innovazione e ridisegnare le mappe geografiche in una sorta di colonialismo 4.0 rientrano tra gli obiettivi primari delle strategie di lungo periodo delle due Superpotenze. Entrambe hanno eletto lo spazio digitale come un nuovo campo di competizione tecnologica, geografica, economica e militare. Con la consapevolezza ben chiara che questi anni saranno decisivi per disegnare gli assetti del futuro mondo iperconnesso.
Competizione geopolitica e disputa per la leadership tecnologica si riflettono in una rinnovata visione di sovranità, che non è più solo la rivendicazione da parte dei governi di quegli spazi di manovra che la globalizzazione dei mercati ha loro sottratto negli ultimi anni.
È il tentativo di stringere un nuovo patto tra i governi e le grandi aziende della Rete che in poco tempo hanno conquistato un potere così ampio e così pervasivo sulle società che nessun altro soggetto privato ha mai avuto nella Storia.
Se da un lato molti governi cercano di limitare lo strapotere delle Big Tech con normative più stringenti per tutelare i diritti dei propri cittadini, dall’altro la collaborazione tra i due attori si sta intensificando in molti ambiti, sulla base della radicata consapevolezza che sarebbe impossibile ridisegnare il nuovo scenario della connettività globale senza l’appoggio di chi quello scenario lo ha modellato. Basti pensare che solo il 20% dei cavi sottomarini di Internet è oggi controllato da soggetti pubblici, mentre circa il 60% è in mano completamente a privati e il resto a consorzi pubblico-privati.
Ambasciatori tecnologici
Il rapporto che lega Washington con le aziende tecnologiche a stelle e strisce è sempre stato abbastanza complesso, con momenti di tensione su rispetto della privacy dei cittadini e proposte di tassazione più rigorosa. Ma su sicurezza nazionale e questioni militari, tranne alcuni casi eccezionali, c’è sempre stata convergenza d’azione. In Cina questa convergenza è ancora più netta, con un controllo formale o de facto del governo sui grandi player tecnologici e sulle loro scelte strategiche.
L’intensificarsi delle relazioni tra i palazzi della politica e i laboratori delle multinazionali tecnologiche non è solo prerogativa dei grandi Paesi. Il governo danese, per esempio, ha nominato per primo un “ambasciatore digitale” con il compito di tessere i rapporti con le principali aziende di Internet e discutere temi sensibili come la sicurezza dei dati o la privacy dei cittadini, ma anche per attrarre investimenti e promuovere infrastrutture.
Questa peculiare ambasciata ha due sedi all’estero emblematiche della nuova mappa del potere digitale: la Silicon Valley e Pechino. Due centri pulsanti dell’innovazione tecnologica separati da un oceano che sarà il grande protagonista della competizione geopolitica dei prossimi anni, sia quella tradizionale che quella digitale. Come dimostra la crescente ingerenza americana sulla realizzazione delle infrastrutture di Internet nell’area del Pacifico.
Negli ultimi anni l’amministrazione degli Stati Uniti è intervenuta per impedire ad aziende cinesi di aggiudicarsi appalti per nuovi cavi sottomarini o ha forzato l'abbandono di progetti che prevedevano collegamenti diretti tra il territorio americano e quello cinese per motivi di sicurezza nazionale.
La Cina risponde con una strategia ambivalente. Da una parte si dimostra sempre più aggressiva sulla questione del pieno controllo di isole e acque contese, in particolare nel Mar Cinese Meridionale, e dall’altra offre vantaggiosi accordi di collaborazione ai Paesi del Sud-est asiatico per la realizzazione di nuove infrastrutture digitali in grado di accelerare il loro sviluppo economico.
Stretta tra le due Superpotenze che si contendono attualmente lo spazio digitale, l’Europa cerca faticosamente di ritagliarsi un ruolo non subalterno.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno messo a nudo le debolezze infrastrutturali e la dipendenza non solo dalle materie prime, ma anche dalle nuove tecnologie in mano a Stati Uniti e Cina. Per troppo tempo Bruxelles ha affrontato il tema di Internet concentrandosi sugli aspetti normativi e trascurando il peso che stava assumendo nei rapporti di forza geopolitici. Sono mancate di conseguenza politiche che promuovessero una più stretta collaborazione sia tra i governi europei che tra le aziende del settore tech del Vecchio Continente.
Il Mediterraneo sarà una delle aree del mondo che vedrà concentrarsi nei prossimi anni un crescente numero di progetti per la realizzazione di reti ad alta velocità e sarà fondamentale per l’Unione Europea riuscire a giocare un ruolo per rilanciare un’influenza geopolitica che nel corso del tempo si è affievolita.
L’aumento dei nuovi cavi e la necessaria diversificazione dei loro percorsi possono garantire agli hub europei un posizionamento rilevante nelle future rotte dei dati che punteranno sempre di più verso Medio Oriente, Asia e Africa.
La collocazione nello scacchiere globale di tutte le nazioni — Italia compresa — non può prescindere dalla consapevolezza che Internet e il controllo delle infrastrutture che ne sono alla base attraversano una fase di profonda evoluzione.
Dopo terra, mare, cielo e spazio, oggi si è affermata una nuova dimensione geopolitica: la sfera digitale. E la competizione internazionale per il suo dominio è solo agli inizi.